Diritto di famiglia: la Cassazione condanna la violazione dell’obbligo di fedeltà

Con due recentissime sentenze, rese a circa un mese di distanza l’una dall’altra, la Corte di Cassazione ha ribadito alcuni punti nodali in tema di addebito di separazione e di violazione dell’obbligo di fedeltà. In particolare, la Suprema Corte, con sentenza n. 3318 dell’8.02.2017, ha chiarito che l’addebito della separazione deve essere attribuito esclusivamente al coniuge che, con il suo tradimento, abbia determinato la rottura del rapporto.

Nulla di strano, ma cosa accade nel caso in cui entrambi i coniugi intraprendano relazioni extraconiugali? Ciò che viene in rilievo nella fattispecie portata al vaglio degli “ermellini”, è la violazione di uno dei doveri fondamentali di cui all’art. 143 del codice civile, vale a dire l’obbligo di fedeltà. Nel caso in esame, la separazione era stata addebitata al marito infedele, mentre nessuna rilevanza, ai fini dell’addebito, aveva avuto la relazione instaurata dalla moglie con un altro uomo dopo il manifestarsi della crisi coniugale. A ben vedere, sembrerebbe trovare applicazione il criterio “temporale”. In buona sostanza, secondo i giudici della Corte, chi tradisce “dopo” non sarebbe responsabile della rottura del vincolo di matrimonio. Ciò in quanto la violazione del dovere di fedeltà non legittima, di per sé, la pronuncia di separazione con addebito al coniuge adultero, essendo necessaria una relazione causale con la rottura dell’unione matrimoniale. Trattasi di una pronuncia affatto scontata che, per certi versi, giustifica e riconosce l’effetto per così dire “consolatorio” derivante dal nuovo rapporto, eventualmente instaurato dal coniuge tradito, prima della separazione definitiva.

Inutile precisare che gli effetti dell’addebito di separazione sono molteplici e che, in ogni caso, occorre valutare adeguatamente e con estrema oculatezza, tutti gli elementi idonei a provare la responsabilità dell’uno o dell’altro coniuge attraverso una valutazione globale dei reciproci comportamenti. Ecco perché degna di menzione, è anche un’altra recentissima sentenza della Cassazione, la sentenza numero 5510 depositata il 6 marzo scorso. Con tale ultima pronuncia la Suprema Corte avrebbe stabilito che gli sms scambiati con l’amante possono costituire una valida prova del “tradimento” e dunque, rappresentano un elemento idoneo e sufficiente per richiedere la separazione con addebito ove sia stata raggiunta la prova del fatto che la condotta infedele abbia determinato la crisi coniugale. Ebbene, anche tale sentenza risulta essere assai peculiare in quanto si pone in evidente contrasto con un precedente orientamento giurisprudenziale che, in casi simili, privilegiava il rispetto della privacy come principio cardine e come limite invalicabile.

Più volte i giudici, sia di merito che di legittimità, avevano infatti riconosciuto un illecito penalmente rilevante nella condotta del partner consistente in una vera e propria attività di “spionaggio”. Avere la pretesa di “perquisire” il telefono del proprio partner alla ricerca di messaggi compromettenti assumerebbe, invero, il carattere dell’ingiustizia manifesta, ciò in quanto una tale condotta viola l’altrui diritto alla riservatezza comprimendo la libertà di autodeterminazione della persona. Questo era quanto statuito dalla Corte di Cassazione fino a poco tempo fa. Tuttavia, tale orientamento sembrerebbe essere stato completamente stravolto dall’ultima sentenza richiamata. E in effetti, stando a quanto recentemente affermato, spiare il cellulare del partner non costituirebbe più una fattispecie di reato ed anzi rappresenterebbe un mezzo idoneo ad ottenere il riconoscimento di un diritto in sede giudiziale.

A questo punto, fermi restando gli obblighi scaturenti dal vincolo matrimoniale, è doverosa una riflessione su quali debbano essere, in concreto, i limiti invalicabili della sfera individuale di ognuno di noi. Appare legittimo chiedersi, infatti, fino a che punto il rispetto della privacy ed i diritti della persona costituzionalmente garantiti possano cedere il passo all’altrui desiderio di giustizia o di vendetta.

Occorrerà leggere attentamente le motivazioni di tale ultima pronuncia, siano esse condivisibili o meno, per comprendere i principi di diritto concretamente applicabili a fattispecie analoghe, ma, per il momento, sarà meglio affrancarsi da una tecnologia troppo invasiva e non perdere di vista gli obblighi derivanti dal diritto e dalla morale.

Informazioni su Avv. Ilaria Dolores Lupi 87 articoli
Avv. Ilaria Dolores Lupi. Avvocato del Foro di Cosenza, dopo la laurea in giurisprudenza, consegue con il massimo dei voti e con lode, un master di secondo livello in Diritto del Lavoro Sindacale e della Sicurezza Sociale presso l’Università degli Studi Europea di Roma. Successivamente consegue un master in Ordinamento e Funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni presso l’Università della Calabria UNICAL, anche in questo caso con il massimo dei voti e con lode. Svolge, tra le altre cose, attività di consulenza e rappresentanza per enti pubblici e società avendo acquisito esperienza nella gestione del contenzioso tributario, ma anche nel diritto amministrativo e del lavoro. Attualmente svolge, inoltre, attività di ricerca e studio in collaborazione con Associazioni culturali e riviste giuridiche.