Un vero e proprio terremoto giudiziario, quello che si è avuto ieri con la sentenza della Corte di Cassazione n. 11504/2017 la quale, superando la tradizionale concezione “patrimonialistica” del matrimonio, ha completamente stravolto un principio giurisprudenziale ormai granitico in tema di assegno divorzile.
Come si legge testualmente nella nota pubblicata sul sito ufficiale del Palazzaccio: “la Suprema Corte, superando, in considerazione dell’evoluzione del costume sociale, il proprio consolidato orientamento, ha stabilito che il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile postula che il giudice cui sia rivolta la corrispondente domanda accerti che l’istante sia privo di indipendenza o autosufficienza economica (desumibile – salvo altri rilevanti indici nelle singole fattispecie – dal possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro personale, dalla stabile disponibilità di una casa di abitazione), sicché, solo ricorrendo tale condizione, potrà procedere alla relativa quantificazione avvalendosi di tutti i parametri indicati, dall’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della l. n. 74 del 1987 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio)”.
In altri termini, il parametro di riferimento decisivo per il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, non sarà più il “tenore di vita avuto in costanza di matrimonio”, bensì la valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. Secondo gli ‘ermellini’, infatti, una volta sciolto il vincolo di coniugio, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente, sia da un punto di vista personale – con esplicito riferimento al nuovo status di “persona singola” – sia dal punto di vista più strettamente economico-patrimoniale, fermi restando, in ogni caso, i diritti ed i doveri connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale in presenza di figli e facendo comunque salvo il dovere costituzionalmente garantito di “solidarietà economica” nei confronti della “persona” economicamente più debole.
Ciò che viene in rilievo dopo la pronuncia di divorzio è e dovrà essere, d’ora in avanti, il principio di “autoresponsabilità”, da cui derivano i parametri dell’indipendenza e dell’autosufficienza economica degli ex coniugi, poiché, a dire della Corte, ogni riferimento al pregresso rapporto di coniugio, sia pure solo sul piano economico, comporterebbe un’indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale che non è in alcun modo contemplata in caso di scioglimento del matrimonio e/o cessazione degli effetti civili dello stesso. Come infatti ribadito a più riprese, nel corpo della sentenza citata, mentre con la separazione personale permangono gli obblighi di cui all’art. 143 c.c., seppure in forma attenuata, con la sentenza di divorzio il vincolo matrimoniale si estingue definitivamente, sicché si rende necessario porre una pietra tombale sull’idea del matrimonio “inteso come sistemazione definitiva”.
Il matrimonio, prosegue ancora la Corte, “è un atto di libertà e di responsabilità”, espressione di una scelta consapevole “che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto”, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Inutile precisare che questo nuovo approdo giurisprudenziale avrà delle ricadute inevitabili, ma, nell’immediato futuro, occorrerà capire se ed in che termini i giudici di merito intenderanno applicare questo nuovo principio alle singole fattispecie concrete.