Elda, il 7 gennaio ha compiuto 50 anni, e non ha potuto realizzare uno dei tanti sogni che aveva e che man mano si era costruita con la certezza del suo lavoro, non ha potuto condividere una fetta di torta con i suoi familiari e amici perché è ancora costretta a portare il peso del mondo addosso. Per mesi ha mangiato latte e biscotti, non riesce a pagare l’affitto già da un po’, non esce quasi più per non spendere soldi. Il suo conto bancario che serviva per depositare lo stipendio chiaramente è andato in perdita, e, nonostante la banca sapesse la sua situazione, ha preteso la positività. Una famiglia composta da genitori anziani e una sorella disabile ha dovuto farsi carico anche di Elda che ha visto, per una scelta aziendale, vedere andare in fumo la sua indipendenza economica. Ha dovuto fare i conti con il dolore palpabile dei genitori che nel pensare al #dopodinoi vivono costantemente in una fase di angoscia, di dolore e di incertezza.
Elda negli anni in cui ha lavorato non ha mai potuto lavorare a cuor leggero, perché ha dovuto lottare per l’affermazione di essere donna e voler fare un lavoro prettamente maschile già dove la discriminazione inizia tra colleghi, che l’hanno sempre vessata in quanto rubava un lavoro ad un padre di famiglia.
Senza lavoro non si è niente, senza lavoro non si ha dignità, ripete come un mantra la nostra Elda.
Però Elda siamo tutte noi, che nonostante la Legge 903 del 9 dicembre 1977, reciti che: “costituisce discriminazione qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta i lavoratori in ragione del sesso”, non siamo affatto tutelate, non esiste alcuna salvaguardia nei confronti di una donna sola, che deve lavorare per vivere e per occupare un posto dignitoso nella nostra società.
E no, non esiste alcunché che ci dia la possibilità di non essere spogliate, messe a nudo, vessate, quando la decisione è aziendale contravvenendo a tutto quanto dichiari la necessità e il rispetto di leggi che gridano (invano) la parità dei sessi, la tutela dei lavoratori e soprattutto il rispetto delle quote rosa….
Per Elda, ma per tutte noi, tutto ciò non esiste, eppure assistiamo in silenzio alla vicenda di Elda….
Elda oggi è il nostro nome, noi tutte dovremmo andare a manifestare asserendo e gridando di chiamarci Elda.
Chi continuerà a dare a questa donna la forza e il coraggio di continuare, da sola, a lottare anche per noi?
Non è l’essere donna che la deve mettere in una condizione di fragilità ma forse è più opportuno parlare di pregiudizio, perché trattasi di lavoratrice donna con competenze da autista, residente in una realtà geografica disgraziata quale la Calabria, afflitta si da problemi occupazionali ma soprattutto culturali, o potremmo, anche, parlare di eccesso di potere, irragionevolezza, illogicità aziendale nel non voler reintegrare l’unica autista donna? Non trovo delle risposte, so solo che c’è una Donna Coraggio che sta lottando con tutte le sue forze per tutte noi.
L.C.