Ci sono romanzi che toccano le corde più profonde dell’anima ed è questo quello che accade con “L’Arminuta” fin dalle prime pagine. Un romanzo travolgente, premio ‘Campiello’ assai inaspettato perché la scrittrice fa tutt’altro nella vita. Una storia raccontata con grande empatia che “costringe” il lettore ad appassionarsi alla vita della protagonista, una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. Donatella Di Pietrantonio, esperta di scrittura perché già al suo terzo romanzo, conosce le parole per dirlo e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Rievoca nel suo romanzo una delicata sensibilità e una forza luminosa che la differenzia da tutti gli altri scrittori e che la pone al pari dei suoi personaggi. Attraverso la sua finezza psicologica e un linguaggio asciutto,essenziale, mimetico, quasi “a pennellate”, il romanzo assume una potenza ammaliatrice che ha fatto breccia in molti lettori così da scalare la vetta della classifica dei libri più venduti. Da molti è stato definito, infatti, come “Un romanzo di Dickens scritto in 100 pagine”.
L’11 ottobre l’autrice è giunta a Cosenza e ha presentato il suo romanzo presso la libreria Ubik. Siamo riusciti ad incontrarla e a porle alcune domande.
Partendo dalle sue opere precedenti quali “Mia madre è un fiume” (Elliot edizioni, 2011), “Bella mia”(Elliot edizioni, 2013) e quest’ultimo “L’Arminuta” (Einaudi, 2017), per quale motivo nei suoi libri ricorre sempre la figura di una madre?
Perché la maternità è proprio il mio tema e soprattutto gli aspetti oscuri, meno rassicuranti della maternità quindi il rifiuto, l’abbandono, queste storie in cui la relazione madre e figlio non funziona e provoca magari dei guasti.
Quali rapporti ha con “L’Arminuta”?
Un rapporto molto stretto, soprattutto quando c’è un “io narrante”,perché diventa in questo caso veramente difficile distinguere i confini tra sé e il personaggio. Quindi “L’Arminuta” è una parte importante di me, come anche Adriana.
E se dovesse descrivere il suo libro in tre parole…?
Coinvolgente, doloroso e scomodo.
Quali sensazioni prova nel condividere il suo libro con un pubblico così vasto?
L’esperienza di incontrare i lettori è sempre entusiasmante anche se a volte è faticoso girare l’Italia. Stamattina ero a Como e ora sono qui però è intenso questo cammino perché i lettori mi restituiscono sempre degli aspetti che sono nel libro e di cui io non sono ancora consapevole. Spesso i lettori mi svelano quello che ho scritto.
«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».
Articolo di Alessandra Caruso