
La bellezza multiforme di Napoli è musa ispiratrice per molti autori. Da tempo è il fulcro della cultura e dell’arte. Silvio Perrella, scrittore e critico letterario ama fotografare frammenti di Napoli con la sua Giberna, piccola macchina fotografica digitale. Il suo obbiettivo è cartografare la realtà cercando di dare a Napoli un’immagine non convenzionale.
Nel suo ultimo libro “Doppio scatto” mette a confronto due linguaggi: la letteratura e la fotografia. Un viaggio all’interno della sua amata Napoli dove la Giberna funge da penna e le fotografie da appunti. Carca di dare voce ai lati nascosti della città come se prendesse ispirazione dalle ‘Città invisibili’ di Italia Calvino, autore prediletto fin dall’inizio delle sue pubblicazioni,ribaltandone il contenuto perché le città di Calvino non erano reali, gli spazi urbani di Perrella lo sono e quindi diventano toccabili.
Anche “GiùNapoli”, pubblicato nel 2006, è un libro scritto con gli occhi, è un’avventura dello sguardo. Perrella, passeggiando per le strade di Napoli, racconta la storia della città, la sua gloria e le sue rovine.
Lo abbiamo incontrato ed intervistato nella splendida cornice Di Villa Rendano, all’Interno del progetto culturale “Villa Rendano” per una conferenza dal titolo “narrative in movimento: luoghi, gli incontri, le risonanze”.
Come mai ha deciso di mettere Napoli al centro delle sue storie?
Forse perché non ci sono nato. Sono nato in Sicilia e sono stato abbastanza nomade fin da giovane. A Napoli si dice ‘Hai l’artetica’ ovvero non riuscire a stare fermi in un posto. Io infatti sono artetico.
Ho letto che lei utilizza un metodo di scrittura che si muove tra l’iconografico e il fotografico. Da che cosa nasce questo particolare modo di narrare?
Nel mio libro ‘Doppio Scatto’ vi è uno scatto visivo e verbale che si inseguono, si toccano. Lo faccio non perché voglio fare il mestiere del fotografo,ma è come se prendessi degli appunti visivi che mi servono a scrivere. Io vado in giro con la mia macchinetta che tengo dentro la tasca e poi quando le guardo queste immagini, a distanza di tempo, una di queste mi chiama a scrivere e allora in quel momento avviene il doppio scatto.
Quali immagini preferisce?
Dettagli… dettagli urbani. A me piacciono molto le città, io sono un collezionista delle città. ‘Doppio scatto ‘ ribalta lo schema delle città, come nelle città invisibili di Calvino in cui c’è un dialogo tra un imperatore e questo avanguardista dello sguardo che è Marco Polo, che gli riporta i racconti di quel che vede. C’è un momento in cui l’imperatore chiede a Marco Polo di raccontargli di Venezia e allora ho deciso di raccontare Napoli. Ho parlato di una città in cui, invece di esserci tante città immaginarie alla base, alla quale ce n’è una visibile e reale, c’è una visibile e reale alla base cioè Napoli, dentro la cui pancia ci sono tutte le città immaginarie del mondo. Quindi una delle cose per cui mi interessano dettagli o altro è quando posso fissare dei frammenti di città che mi ricordano altri luoghi del mondo.
Napoli diventa, quindi, un baricentro. Di tipo simbolico ?
Si, simbolico ma anche reale, perché è come aprire una finestra e cercare di dare un’immagine al lettore.
Cosa rende Napoli così speciale?
Innanzitutto la verticalità di Napoli e lo sguardo. Quando tu cammini a Napoli devi essere consapevole che hai sempre qualcosa sotto i piedi e qualcosa sopra la tua testa. Devi avere un nomadismo visivo nel muovere gli occhi, cosa che non sempre si riesce a fare e quelli che hanno un millimetro di estraneità come me, che sono un po’ stranieri lo fanno perché si devono ambientare. Io sono uno che ama perdersi, viaggio per perdermi poi ogni tanto ritorno.
Poi c’è il mare, un luogo dove si arriva sempre, “Napoli è sempre bagnata dal mare” dice Anna Maria Ortese. Cosa intende lei per il mare?
Il mare è l’elemento della metamorfosi. Il mare è l’utopia. Io scrivo favole per adulti, ogni anno ne scrivo una e la penultima si chiama ‘l’alfabeto del mare’. Sono favole in cui c’è una coppia di giovani amanti che vanno alla scoperta di luoghi e sentimenti.
Come mai scrive favole per adulti?
Perché io sono nato alla scuola calviniana. Sono nato ad una scuola in cui il linguaggio deve provare a parlare a chiunque quindi, anche la cosa più complessa si può semplificare, non impoverendola bensì trovando il tono di voce che può essere comprensibile da tutti. Anche perché le favole sono il catalogo dei destini del mondo e devi essere in grado di dire le cose come se nessuno le avesse dette prima di te.
Questo frammentismo che lei fotografa, viene fuori anche un’idea di impressionismo. Mi sembra di leggerlo in questa dimensione. Come le sembra?
Si, qui è come se ci fosse un mosaico mobile. Quando ragiono e scrivo su una foto, scrivo di quello che sulla foto non c’è, a volte scrivo di quello che è rimasto fuori dalla foto. Inseguo delle cose che la foto mi fa ricordare ma che in realtà non ci sono. Quindi il rettangolo visivo non basta.
L’altro libro “Addii, fischi nel buio, cenni” è un omaggio ai padri, ai progenitori, alla generazione precedente. Di cosa parla?
Innanzitutto ‘Addii, fischi nel buio, cenni’ è l’inizio di una poesia di Montale. Parla della generazione dei nostri antenati. E’ un affresco fatto nel tempo. Sono trent’anni del mio lavoro che io ho deciso di mettere in ordine cronologico, legando tantissime cose. All’inizio era mille pagine, adesso ne ha quattrocento.
Che cosa significa fare lo scrittore oggi?
Fare lo scrittore oggi significa stare tra le discipline. Essere mobili, mettersi in gioco.
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Biografia Silvio Perrella
Silvio Perrella è nato a Palermo nel 1959. Da molti anni ha scelto di vivere a Napoli. Comincia come lettore di libri altrui (Calvino, 1999; Fino a Salgareda, 2003; Opere di Raffaele La Capria, 2014) e nel tempo trasforma la sua lettura-scrittura in una narrazione dello spazio urbano e dei sentimenti che lo abitano (Giùnapoli, 2006; L’Aleph di Napoli, 2013; L’alfabeto del mare, 2014; In fondo al mondo, 2014). I suoi viaggi nel lontano sono raccolti nell’ebook intitolato Le parole a piedi (2014).
Articolo di Alessandra Caruso