
“Le ‘ndranghetiste dell’est. Profili internazionali della mafia calabrese”. 182 pagine edite dalla casa editrice Pellegrini e scritte dal giornalista Arcangelo Badolati. Il volume, che reca l’introduzione del docente universitario e sociologo Giap Parini, è inserito nella collana “Mafie” diretta da Antonio Nicaso.
Il fulcro centrale di questo libro è il ruolo svolto dalle donne provenienti dai paesi dell’ex Cortina di Ferro all’interno delle cosche. Un fenomeno che ha caratterizzato la storia recente della mafia più potente del mondo.
Racconta di mogli e compagne di Boss e picciotti, cresciute in un mondo nel quale non avevano messo radici ma che le ha permesse di trasformarsi in temuti “capi” o in fedeli “luogotenenti”, gestendo in Calabria estorsioni, traffici di cocaina e aziende nate per il riciclo di denaro frutto di attività illecite.
Di questo fenomeno si è parlato venerdì 6 ottobre alla Casa delle Culture di Cosenza. All’incontro, organizzato dalla società ‘Ordine e sicurezza’ di Adriano Napoli e moderato da Antonietta Cozza, sono intervenuti l’autore, il procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Cosenza Marisa Manzini e il direttore della ‘Confapi’ di Cosenza Francesco Napoli. Nel silenzio e lo stupore, che ha caratterizzato tutto il pomeriggio, i relatori hanno raccontato e spiegato la storia di queste donne, a partire da Edyta Kopaczynska, consorte di Michele Bruni, padrino di Cosenza, l’unica polacca ad essere stata condannata in Italia con sentenza definitiva per associazione mafiosa, Lucia Bariova, la slovacca capobastone di Vincenzo Forastefano, nominata “direttore tecnico” dell’azienda di trasporti “Forastefano” ad arrivare all’ucraina Oksana Verman, amante del narcotrafficante Salvatore Pititto, che ospitava nella propria abitazione i narcos colombiani.
COME E’ STATO POSSIBILE CHE DONNE DELL’EST, QUINDI DA UNA CULTURA COMPLETAMENTE DIVERSA DA QUELLA CALABRESE, SIANO RIUSCITE A RITAGLIARSI UN POSTO COSI’ IMPORTANTE ALL’INTERNO DELLA ‘NDRANGHETA?
Il prefetto Manzini che ogni giorno si confronta con questo fenomeno ha definito la ‘ndrangheta come “l’organizzazione più potente al mondo al punto che anche gli Stati Uniti hanno preso posizione in questa vicenda”.
Il potere della ‘ndrangheta è stato quello di trovare la sua forza nei legami familiari in quanto, nei rapporti di sangue, è difficile che nascano dei pentiti. Se i rapporti parentali sono quelli che tengono uniti i vari soggetti del clan, questo li porta ad essere ancor più credibili nei confronti degli altri.
Le donne si sono legate per motivi di interessi a un ‘ndranghetista in quanto, anche se quest’ultimi hanno una vita breve a causa della morte o della prigione, riescono in quel poco tempo a raggiungere un livello economico molto alto.
Mentre le mogli di mariti ‘ndranghetisti, per culture e statuto sociale, non possono legarsi a soggetti diversi dal loro gruppo criminale, differentemente per come capita agli uomini. Questo sta a significare non solo che le donne occupano una posizione subordinata rispetto agli uomini ma che nel 2017 la ‘ndrangheta non riconosce ancora la parità dei sessi.
Tuttavia, dal punto di vista del procuratore Manzini, le donne con il tempo, stanno acquisendo maggiore consapevolezza della pericolosità della ‘ndrangheta e del fatto che non offre un futuro, specie ai loro figli. Ci sono state molte donne che, collaborando con la giustizia, hanno creato una crepa e quindi scoperchiato quelle che erano i clan di cui facevano parte. Puntare sulle donne quindi, conclude il procuratore, significa puntare e sperare nel cambiamento.
Oggi, grazie anche alla potenza dei social network, molte donne di questa subcultura, si sono sentite libere di viaggiare al di fuori da quelle mura. Hanno potuto pensare ad un futuro migliore per i figli in modo da dargli una vita diversa da quella che hanno vissuto fino a quel momento. Non permettere più che questi bambini diventino strumento per le associazioni criminali e che si distacchino da quella che è la loro realtà d’origine.
Sperare quindi che questa consapevolezza femminile cresca sempre di più, così da poter fare breccia all’interno delle organizzazioni.
Infine ha preso la parola l’autore del libro Arcangelo Badolati, caposervizio della gazzetta del sud che è riuscito, attraverso il racconto di una serie di storie,a dare al pubblico un’immagine più concreta,reale e anche drammatica della figura della donna nella ‘ndrangheta. Si è soffermato sulla strategia che da sempre un uomo di ‘ndrangheta pratica nei confronti della donna, quello che si può definire il “mistero dell’innamoramento’ che non è altro che pretesa di dominio che viene esercitata dalle famiglie di ‘ndrangheta sulle donne,sui loro corpi e le loro menti. Questo rituale avviene in modo tale che le cosche possano avere diritto di supremazia. Questo è il motivo per cui, solo poche volte, le donne riescono a scampare da questo millenario retaggio. Talora, ha spiegato Badolati, può capitare che le donne assumano ruoli di primo piano quando, in assenza dei mariti e compagni che finiscono nelle carceri, sentano il dovere di portare avanti il percorso iniziato dai mariti. In ogni caso il loro è da sempre un ruolo di subalternità e inferiorità fisica, psicologica e mentale.
Ed è per questo che Arcangelo Badolati, dopo aver trattato lungamente della fenomenologia patriarcale e nevrotica della ‘ndrangheta nei confronti delle donne,ha rivolto un pensiero ai genitori calabresi, chiedendo loro di proteggere le proprie figlie e di assicurarsi che non vengano mai coinvolte in questo circolo nero perché diventare donne di uomo ‘ndranghetista equivale alla morte.
Alla serata ha partecipato anche “la visionaria e folle” Stefania Spadafora, ingegnere civile e conosciuta per aver creato il marchio Koopf che è presto diventato leader nel settore della produzione di dispositivi di protezione per la testa personalizzati. Per l’evento ha realizzato dei caschi personalizzati che sono stati donati ai relatori. L’elmetto di colore nero in onore del velo delle donne rappresenta uno scudo che aiuta a proteggerci da situazioni che non ci permettono di lavorare in trasparenza. E’ un auspicio per il mondo del lavoro che sia trasparente e pulito e lontano dalle ingiustizie e il malaffare.
Articolo di Alessandra Caruso