La Corte di Cassazione, con una sentenza resa negli ultimi mesi, ha ribadito un principio che può ritenersi ormai pacifico, secondo il quale la breve durata del vincolo matrimoniale non può giustificare l’esclusione del diritto all’assegno divorzile qualora ne ricorrano i presupposti. Ed invero, i giudici della Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso promosso da un ex marito che si era visto negato il diritto all’assegno divorzile a causa della brevità del suo matrimonio (poco più di due anni), hanno affermato che il “presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio è che il richiedente non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive”.
Viene dunque ribadito il carattere “assistenziale” dell’assegno di divorzio, che trova un fondamento giuridico nel principio di solidarietà economica e sociale di cui all’articolo 2 della costituzione e nelle altre norme dell’ordinamento italiano che regolamentano l’istituto del matrimonio riconoscendo specifici diritti e doveri in capo ai coniugi.
Ciò che l’ordinamento vuole tutelare con l’istituto dell’assegno divorzile è infatti il diritto alla conservazione del medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio o la legittima aspettativa, maturata nel corso del rapporto di coniugio, di un determinato stile di vita. Tale istituto ha dunque la finalità di salvaguardare l’ex coniuge economicamente più debole. Tuttavia, al fine di evitare un’applicazione distorta dei suddetti principi, il legislatore è intervenuto, nel lontano 1987, con una modifica dell’articolo 5 della legge sul divorzio che imponeva al giudice di valutare, ai fini della somministrazione dell’assegno, tutti gli elementi indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico di entrambi e reddito) anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Ma cosa accade nel caso dei c.c.d.d. “matrimoni-lampo”? Purtroppo non sono pochi i matrimoni durati solo pochi mesi o addirittura giorni. In tali casi il diritto imporrebbe comunque il riconoscimento di quella che è stata definita, a più voci, “una rendita parassitaria”. Sennonché, alcuni tribunali, partendo dal presupposto che la convivenza particolarmente breve tra i coniugi non poteva ingenerare alcuna aspettativa e/o affidamento di uno nei confronti dell’altro, avevano disconosciuto il diritto all’assegno divorzile.
Ebbene, tale ultimo orientamento sembrerebbe essere stato definitivamente superato.
Ed in effetti, i giudici del Palazzaccio, con l’ultima sentenza n. 275/2017, hanno confermato che il criterio della durata del matrimonio non attiene al diritto all’assegno, bensì alla sua sola quantificazione. In altri termini, la durata del vincolo di coniugio incide solamente sull’ammontare dell’assegno divorzile, ma non anche sul suo riconoscimento, che deriva invece dalla cosiddetta “inadeguatezza” dei redditi del richiedente. L’assegno è quindi dovuto, a prescindere dalla durata del rapporto, ove ne ricorrano i presupposti di legge e fatti ovviamente salvi tutti quei casi eccezionali in cui, ad esempio, non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
La pronuncia richiamata pone evidentemente una pietra tombale su un’annosa questione.
Attenzione dunque ai colpi di fulmine!