La Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10333/2018, resa in materia di intermediazione finanziaria, ha chiarito in maniera inequivocabile che se manca la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto oggetto dell’intermediazione deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte dei soggetti che figurano come assicurati e non una polizza vita.
Inoltre, nel richiamare una precedente sentenza, Cass. 18 aprile 2012 n. 6061, ha precisato che, al di là del “nomen iuris” attribuito alla singola tipologia contrattuale, occorre interpretare il contratto al fine di verificare se esso sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita oppure come investimento in uno strumento finanziario.
La linea di demarcazione fra le due tipologie contrattuali è tracciata dal cd. “rischio” di performance. Mentre infatti nella polizza vita il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore, nei contratti di investimento il rischio di “performance” è per intero addossato all’assicurato.
Non solo. L’esame del caso specifico riguardante la sottoscrizione della polizza da parte dell’investitore persona fisica per il tramite di una società fiduciaria che a sua volta aveva realizzato l’investimento finanziario, ha imposto alla Corte un’ulteriore precisazione: una volta che si assuma quale investitore non la società fiduciaria ma la persona fisica fiduciante, l’adempimento degli obblighi dell’intermediario finanziario devono essere valutati nei confronti di quest’ultima, e non nei confronti della società fiduciaria, ciò al fine di rimuovere le asimmetrie informative della disciplina del rapporto tra investitore ed intermediario.