Una storia fantastica, sullo sfondo di una Napoli che è stata consegnata agli annali della storia, ma che a ben vedere si mostra in tutto il suo fascino anche all’osservatore contemporaneo. “Ultimo quarto” è il titolo dell’opera prima di Armando Cafasso, classe 1959, testimone discreto, ma attivo di quell’Italia capace di gettare il cuore al di là dell’ostacolo e di realizzare il futuro immaginato.
La scelta di scrivere un libro è nata quasi per caso. «In un terreno adiacente il Castello Aragonese di Baia a Bacoli -afferma lo stesso autore – fu ritrovata casualmente una targhetta metallica identificativa di un quadro inglese molto famoso, oggi esposto alla National Gallery di Londra, della prima metà dell’Ottocento, raffigurante un bambino con un vestitino rosso, dall’età approssimativa di sette anni. Il ritrovamento ha offerto lo spunto alla mia immaginazione, dandomi modo di provare a dipanare il mistero della sua presenza in quei luoghi. Nasce su questo interrogativo “Ultimo quarto”. Attraverso il racconto di un nonno al suo nipotino, affetto da sindrome dello spettro autistico, si avvicendano due storie parallele, di cui la prima percorre i luoghi dell’infanzia del protagonista, e nella seconda, ambientata nella Napoli dei Campi Flegrei durante l’epoca del regno borbonico, prende forma la storia del piccolo fanciullo in rosso raffigurato nel quadro. Le due storie, apparentemente scollegate, si riveleranno al lettore nel filo che le unisce».
La poesia e la prosa si mescolano, così come i ricordi, in storie dal tono evocativo che si sviluppano in una Napoli di epoca borbonica. Una Cinquecento, un castello, un bambino dal vestito rosso e un quadro, muovono i loro passi in percorsi separati fino a convergere in una voce univoca. La stessa voce che rappresenta il nucleo emotivo in cui il legame di un nonno con il suo nipotino “speciale” diviene l’arma per poter raccontare. Un libro che non è solo una storia da vivere, ma un atto d’amore verso la famiglia, un inno alla condivisione: del resto lo stesso autore è il primogenito di ben sei fratelli, nati e cresciuti in una Pozzuoli bella, ammaliante e complessa. La prefazione del volume, in distribuzione su tutte le maggiori piattaforme online, è affidata ad Antonio Menna autore, tra gli altri, del best seller “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” che lo definisce “un libro breve, per certi versi indefinibile, colmo di detriti, cioè di frammenti, di spezzoni, di conchiglie che portati all’orecchio sembrano riportare il mare o una storia”.