In Triennale REFOCUS. Archivio visivo della pandemia

A Milano negli spazi di Triennale Milano ha preso il via il 20 ottobre la mostra REFOCUS. Archivio visivo della pandemia, si tratta di un percorso espositivo in 360 immagini realizzate da 40 giovani fotografi, individuati tramite selezione pubblica, che hanno saputo interpretare esperienze, situazioni e stati d’animo durante i mesi della pandemia da Covid-19.

La mostra a cura di Matteo Balduzzi e Matteo Piccioni, che sarà fruibile fino al 21 novembre, arrivata a seguito di due open call lanciate tra primavere e autunno 2020, la prima per testimoniare la sospensione vissuta nei mesi di quarantena e la seconda per stimolare una riflessione sulle trasformazioni della società italiana nel periodo immediatamente successivo al lockdown.

REFOCUS è la terza fase di un più ampio progetto fotografico di documentazione visiva dell’Italia nell’anno della pandemia, 2020FermoImmagine, nato per volontà del Ministro della Cultura Dario Franceschini. Con la mostra allestita negli spazi di Triennale Milano è possibile visionare 40 progetti fotografici di altrettanti giovani fotografi: 

1 – FULVIO AMBROSIO (NAPOLI, 1986) –La cura — si concentra sul modo in cui, al termine del primo periodo di lockdown e del più rigido distanziamento sociale, le persone abbiano ripreso ad avvicinarsi fisicamente ai propri cari. L’autore ha creato un racconto visivo di come sia tornato a prendersi cura della nonna, puntando l’attenzione sull’idea di recupero del contatto, esemplificato da gesti semplici come toccarsi e tenersi per mano. Per l’occasione l’autore ha creato un dispositivo ad hoc, un piccolo apparecchio fotografico fissato al suo petto, impostato per scattare in automatico ogni cinque secondi. In questo modo le mani potevano restare libere per interagire con la donna seduta davanti, dedicandosi completamente alla relazione con lei. 

2 – ARIANNA ARCARA  (MONZA, 1984) – Fine turno — si compone di una serie di ritratti di operatori sanitari alla fine della propria giornata lavorativa. Realizzate in diverse strutture ospedaliere del Nord Italia, tra Lombardia ed Emilia, durante i mesi critici di marzo e aprile 2020, nella fase più intensa ed estenuante dell’emergenza sanitaria, le immagini di Arcara si concentrano sui volti e i gesti di coloro che hanno dovuto fronteggiare, dall’interno degli ospedali, la pandemia e la sua inaspettata virulenza, tra stanchezza, consapevolezza e dedizione.

3 – LORENZO BACCI / FLAVIO MORINIELLO (GROSSETO, 1989 / MILANO, 1986) – Termodinamica di una singolarità — indaga la relazione tra visione, visibilità, rappresentazione, percezione e potere, attraverso l’analisi della quotidianità della pandemia per mezzo di termocamere, sottolineando l’importanza della tecnologia nella restituzione e nella costruzione del reale. Tali dispositivi di imaging medico e di visione militare si rivelano coerenti a un contesto che è al contempo di emergenza sanitaria e para-bellico, nel momento in cui vengono usati per rendere gli spazi di pubblico accesso più sicuri. Le immagini prodotte mostrano, oltre allo spettro del visibile, il calore, energia che differenzia tutto ciò che è azione, produzione e movimento da ciò che non lo è.

4 – FABRIZIO BELLOMO (BARI, 1982) – Lo spettacolo deve continuare — indaga il modo in cui cameraman e foto-reporter hanno mediato il rapporto con lo spazio e con gli accadimenti durante i mesi più duri della pandemia. Abituati a spettacolarizzare la realtà, questi professionisti dell’immagine non si sono comportati differentemente anche in tale occasione. Grazie alla stretta collaborazione con Christian Mantuano e a partire dal suo lavoro fotografico, la ricerca affronta i meccanismi di drammatizzazione delle immagini dell’emergenza sanitaria, attraverso la produzione di una serie di tavole di impianto saggistico in cui vengono indagati molti degli strumenti a disposizione del fotografo prima, durante e dopo lo scatto.

5 – GIACOMO BIANCO (MESTRE – VE, 1994) – Essere anfibio (dalla serie Umanalacuna) — sintetizza la dicotomia creatasi, tra i mesi di lockdown e quelli successivi, nel modo di vivere la laguna veneziana da parte dell’autore, attraverso immagini in cui coesistono due tempi e due modalità di fruizione. Se la reclusione forzata ha permesso di mantenere il contatto con l’ecosistema lagunare solo a distanza, attraverso le webcam subacquee della Piattaforma Oceanografica Acqua Alta del C.N.R., dalla fine di maggio 2020, con il ritorno a una sorta di pseudo-normalità, l’autore ha subito voluto ritrovare il rapporto fisico con il proprio territorio e con gli elementi che lo costituiscono.

6 – ALESSANDRO CALABRESE – (TRENTO, 1983) con la collaborazione di Ilaria Tariello – Welcome Stranger — indaga il sentimento di ritorno alla realtà dopo i mesi di isolamento. Il punto di partenza è una riflessione sulla Cabin Fever (sindrome della capanna), le cui prime attestazioni risalgono all’epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti. Seguendo tale suggestione, l’autore ha selezionato screenshot e frasi dal film di Charlie Chaplin The Gold Rush (1925) – successivamente colorati con un programma di “deep learning” che attribuisce automaticamente colori alle fotografie in bianco e nero – alternati ad alcuni still-life di agglomerati di poliuretano che rievocano, anche nelle modalità di rappresentazione, le pepite d’oro: Welcome Stranger è il nome della più grande pepita d’oro mai trovata. 

7 – MARA CALLEGARO (VARESE, 1994) – 20’s Special — si basa sulla creazione di un immaginario urbano del mondo post-pandemico, un insieme di configurazioni cittadine, ricreate con elementi casalinghi. Ironicamente, le composizioni sono proposte sotto forma di francobolli in edizione speciale, a suggello di un anno di incertezza e clausura. Callegaro evoca un catalogo di fantasmagoriche città italiane create dall’assemblaggio di strutture vacillanti e architetture in bilico, emblema della condizione di fragilità e provvisorietà vissuta dal Paese.  “La prossimità mi suggerisce gittate di visione compresse: oculi che vagano in 50 mq, Grand Tour di paesaggi domestici. Il mondo in una stanza, azzarderebbe Gino Paoli.”

8 – SOFIYA CHOTYRBOK (ZOLOCHIV – UCRAINA, 1991) – Gesti — concentra la sua attenzione sull’autocensura rispetto alla fisicità nelle relazioni quotidiane, alla luce delle misure di contenimento della pandemia. La nostalgia (il famoso dolore del ritorno) ha portato l’autrice a fissare piccole porzioni di gesti di affettività appartenenti a una realtà passata, prelevate dall’archivio fotografico familiare, che diventano, decontestualizzate, il simbolo della nuova dimensione quotidiana rimodellata dall’emergenza sanitaria. L’immagine è ingrandita fino a perderne leggibilità, il fruitore è chiamato ad allontanarsi per coglierne la visione d’insieme e riportarne alla mente la memoria tattile.

9 – DANIELE CIMAGLIA / GIUSEPPE ODORE (ROMA, 1994 / POMPEI – NA, 1995) – Storie dell’abitare — indaga le nuove relazioni interpersonali che si sono sviluppate nei mesi di lockdown. Osservando i propri vicini di casa cantare e suonare fuori dal balcone durante la quarantena, gli autori si sono resi conto di non conoscere nessuno. Per creare una nuova idea di comunità Cimaglia e Odore hanno invitato i condomini in cortile, realizzando una serie di ritratti di famiglia aventi come fondale le tende degli appartamenti, sineddoche delle proprie case, ma anche segno dell’intimità domestica, in relazione con lo spazio esterno di socializzazione. Raccontando di se stessi ed esprimendo i propri pensieri in prima persona, gli abitanti hanno riscoperto la centralità della condivisione.

10 – TOMASO CLAVARINO (TORINO, 1986) – Ballad of Woods and Wounds — si presenta in forma di ballata campestre in cui Clavarino ha sviluppato una narrazione personale di un periodo particolare, vissuto a Cocconato d’Asti, nel Basso Monferrato, che ha coinvolto se stesso, la sua famiglia, le sue radici. “A volte nella vita gli eventi si susseguono uno dopo l’altro, senza respiro. La notizia della gravidanza della mia compagna; un lutto che ci ha colpito nel profondo; l’impossibilità di ricevere un abbraccio da amici e parenti; l’Italia, e il mondo intero, bloccati da una pandemia. Ecco allora l’esigenza di respirare, di tornare nel luogo in cui sono cresciuto, che da sempre ha rappresentato un rifugio sicuro”.

11 – ANTONIO COLAVITO – (GRAVINA IN PUGLI A – BA, 1995) – Il visibile e l’invisibile — indaga le trasformazioni che la pandemia e il lockdown hanno portato nella vita quotidiana in relazione al mondo della produzione industriale e artigianale, soprattutto in termini di concezione del tempo, dello spazio e del lavoro. L’autore ha documentato la riconversione delle linee di produzione di un’azienda del Sud Italia, nata come produttrice di macchine taglia-spugna e trasformata in produttrice di mascherine, con lo scopo di salvaguardare fatturato e occupazione. Con questo reportage Colavito intende celebrare l’orgoglio di una classe operaia che, nonostante la situazione, non si è mai fermata.

12 – GIULIA DE GREGORI (ROMA, 1994) – Nuova Arcadia — è una riflessione sul contemporaneo nata in relazione alla pandemia, a metà strada fra sentimento nostalgico e visione disincantata. Il periodo di confinamento ha accelerato il già rapido processo verso la digitalizzazione della vita, anche per chi non è un nativo digitale. Alla maniera dei fotografi pittorialisti, l’autrice ha “dipinto” i frammenti di una vita destinata forse a scomparire, caratterizzata da relazioni interpersonali, assembramenti, viaggi, attese, momenti di pausa e di frenesia. Il processo rielabora materiali analogici provenienti dall’archivio di famiglia che, attraverso una serie di passaggi tra diverse tecnologie, vengono restituiti come istanti che trascendono lo spazio-tempo e richiedono di soffermarsi con lo sguardo, rallentando un attimo, e di penetrarvi in profondità.

13 – MATTEO DE MAYDA (TREVISO, 1984) – Stadio Luigi Ferraris (Genova) — è costituito da una serie di immagini dedicate allo stadio di Genova completamente vuoto dopo l’interruzione dei campionati, evento mai verificatosi dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale nonostante alluvioni, terremoti o atti terroristici. Si presenta come omaggio all’architetto Vittorio Gregotti, che ne ha curato la ristrutturazione, scomparso il 15 marzo 2020 proprio a causa del Covid-19. Il lavoro è al contempo un omaggio al calcio stesso, partendo da una nota riflessione di Pier Paolo Pasolini: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”.

14 – ILARIA DI BIAGIO (FIRENZE, 1984) – Lathe Bios | Vivere appartati — si inserisce nelle modalità di ricerca dell’autrice che, da quasi un decennio, fotografa intorno alla sua casa nel Chianti fiorentino entro la distanza di un miglio. Le settimane del lockdown hanno visto tale raggio ridursi a 200 metri. Questo perimetro davvero limitato si è rivelato ai suoi occhi, come non mai, pieno di vita, poiché la pandemia ha fatto sì che le case e i giardini fossero vissuti quotidianamente e i rapporti di vicinato trovassero nuova linfa. Le immagini raccontano della dicotomia tra la drammaticità della cronaca e la calma, il tempo, la serenità, ritrovati in campagna. 

“Adotta il ritmo della natura: il suo segreto è la pazienza” (Ralph Waldo Emerson)

15 – RICCARDO DOGANA (CASTIGLIONE DEL LAGO – PG, 1983) – Wallpapers — si configura come un viaggio ideale nella crisi immobiliare dell’Italia della pandemia, tra camere sfitte destinate agli universitari e appartamenti vuoti in attesa di inquilini. L’autore lavora sulle immagini prelevate dai siti di vendite immobiliari, rifotografandole e replicandole in serie che, ricordando i provini a contatto, ne sottolineano il vuoto. Si tratta di un fermo-immagine della situazione abitativa tra marzo e settembre 2020, quando l’offerta di case in affitto nelle grandi città italiane è aumentata del 14,2%, mentre la domanda è scesa del 13,2 %, segnali che lasciano presagire scenari allarmistici nel mercato delle locazioni.

16 – STEFAN GIFTTHALER (TRENTO, 1982) – Il progetto punta l’attenzione sulla finestra quale dispositivo di visione peculiare nei mesi della pandemia. In modo quasi automatico e seriale l’autore ha scattato una fotografia al giorno al palazzo che si trova di fronte alla finestra della sua stanza, la prima cosa che vede quando apre gli occhi al mattino e l’ultima prima di addormentarsi, concentrandosi sulla continua variazione cromatica della sua superficie durante le ore della giornata.

“[…] da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s’andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace” (Alessandro Manzoni, I promessi Sposi, cap. XVII)

17 – FILIPPO GOBBATO (TRIESTE, 1995) – con la collaborazione di Teresa Bucca – Quarantena fiduciaria — racconta il lavoro dei volontari di DonK Humanitarian Medicine, impegnati a offrire servizio medico gratuito in tre strutture di accoglienza a Trieste. Lo sguardo si allarga alla condizione dei rifugiati durante il lockdown, costretti a vivere una sorta di doppia reclusione. “Cosa significa restare chiusi in un luogo che non è casa, con il quale non hai familiarità, né possibilità di intimità? Queste persone non sanno com’è fatta la città dove si trovano e non hanno idea di cosa succederà nel loro futuro più prossimo. Vivono sospesi dentro strutture riadattate. Le giornate scorrono lente e pesanti in un’attesa senza data di scadenza. I corpi stremati dal viaggio, gli sguardi persi in direzione di pavimenti e finestre”.

18 – LUIGI GRECO (MONCALIERI – TO, 1998) – Missing Ring — indaga il ruolo che le fake news hanno avuto durante la pandemia, grazie al potere di seduzione che deriva dall’apparente capacità di fornire risposte semplici a questioni complesse, attraverso notizie falsate, distorte e spesso presentate fuori contesto. L’autore cerca di restituire questi concetti in forma di immagini manipolate, come analisi e traduzione visiva di alcune fake news specifiche circolate durante la pandemia. Le immagini, di varia natura (archivio, manipolazione, 3D), intendono riproporre l’immaginario distopico di una mentalità “complottista”, di cui l’evidente tendenza a sfiorare il ridicolo non deve far sottovalutare la pericolosità.

19 – GIULIA IACOLUTTI (CATTOLICA – RN, 1985) – Inscape — racconta l’esperienza personale dell’autrice nel vivere la sua gravidanza durante il periodo più duro della pandemia. “L’11 marzo 2020 l’Italia si fermava. L’11 marzo io entravo nella mia dodicesima settimana di gravidanza: la vita non si sarebbe fermata”. I luoghi osservati dal finestrino durante i 50 minuti di macchina che la dividevano dalla clinica in cui si recava con il suo compagno per le visite mediche si sovrapponevano al paesaggio interiore che prendeva forma reale nel suo corpo: “Il 4 maggio il ventre era diventato la collina su cui correre e, i nostri occhi, laghi lucidi colmi di una speranza volta non alla difesa di uno stile di vita, ma della vita stessa”.

20 – GUIDO LETTIERI  (NAPOLI, 1984) – Il progetto rivolge lo sguardo ad alcune strutture sportive e ricreative della provincia di Belluno nei giorni immediatamente successivi al lockdown, in attesa della graduale riapertura delle attività. “Una delle prime cose che mi ha colpito alla fine del periodo di quarantena è stato il silenzio che permaneva nelle strade, l’assenza di bambini e di attività sportive in quei luoghi normalmente dedicati al gioco e alla vita. Ho sentito l’esigenza di raccontare questi spazi dall’alto, come se Dio li stesse guardando, vuoti, svuotati del loro senso, solo forme geometriche di spazi nel momento in cui stavano per tornare a essere vissuti”.

21 – CLAUDIO MAJORANA (CATANIA, 1986) – All the Things that Seemed so Important — racconta le lunghe giornate estive di un gruppo di ragazzi che, dopo i mesi trascorsi in casa, decidono di riunirsi per costruire un rifugio segreto lungo le rive di un torrente. Da subito questo luogo diventa un posto per il tempo con se stessi e con gli amici, uno spazio riservato ai segreti e ai propri pensieri, una barriera tra il gruppo e il mondo degli altri. Confinati in un luogo che stavolta essi stessi hanno scelto, trascorrono insieme alcune settimane finché, come in ogni fuoco adolescenziale, la fiamma dell’interesse si raffredda per spostarsi verso altri orizzonti, momenti e avventure.

22 – STEFANO MANIERO (PORDENONE, 1989) – L’opposto della verità è un’altra verità — analizza l’influenza che gli avvenimenti hanno sulla percezione della realtà, mostrando come il mondo si vesta di nuovi significati in base all’esperienza, legata in questo caso alla pandemia. Le fotografie mostrano alcuni luoghi che si trovano nel raggio di 200 metri dall’abitazione dell’autore e portano il fruitore a interrogarsi su cosa si stia guardando. Tale visione ambivalente del mondo – ciò che è percepito nella straordinarietà della pandemia rispetto a quale sarebbe la percezione in una situazione ordinaria – è indicata nelle due didascalie, di orientamento e di senso opposto, che accompagnano le immagini.

23 – LUCA MARIANACCIO (AGNONE – IS, 1986) – Effetto farfalla — si presenta come una sorta di diario personale dell’autore, che dal 2019 si trova a vivere con la sua famiglia in una nuova città in Puglia, Grottaglie. La fotografia si rivela per Marianaccio lo strumento privilegiato per prendere possesso del suo nuovo ambiente, in particolare nel momento straordinario verificatosi in seguito alla pandemia, che genera un ulteriore motivo di distanza. Lo spazio e i suoi abitanti sono analizzati come unità di un sistema più complesso, in cui ogni gesto può incidere sul destino comune. “Si può avere una vista d’insieme senza la conoscenza approfondita dei singoli elementi?”

24 – GUIDO MONTANI (ROMA, 1982) – Home Stay Home — si interroga sulla retorica della casa come luogo sicuro in cui rifugiarsi e riscoprire le proprie passioni, così come spesso presentata dai media durante i mesi di lockdown, mettendone in risalto le contraddizioni, anche in riferimento ai dati che indicano l’Italia come uno dei Paesi occidentali con l’emergenza abitativa più alta. Ritraendo alcuni abitanti negli spazi urbani, l’autore ha evidenziato la criticità della situazione di alcuni quartieri periferici di Milano, tra le zone più fragili dal punto di vista delle politiche residenziali.

25 – MATTEO MONTENERO (TORINO, 1995) – Valba Dë Carsaj — indaga le conseguenze che la pandemia ha avuto e ha in un territorio particolare come la Val di Susa, di per sé luogo “chiuso” e “di passaggio”, con un’attenzione particolare alle giovani generazioni. Il tema degli spostamenti accelerati, che sono stati la principale causa della rapida diffusione del virus, è messo a confronto con l’ambizione alla velocità dei trasporti che determina le trasformazioni in atto nella valle piemontese. Questa, nelle immagini cupe e notturne dell’autore, si presenta come “un non-luogo macroscopico con cui le nuove generazioni faticano ad interfacciarsi”, abitato da opere incompiute e da macerie, dove la pandemia ha esasperato la condizione di transitorietà e incertezza.

26 – DOMENICO NARDULLI (ACQUAVIVA DELLE FONTI – BA, 1983) – Spazio libero (Milano – 15.04.2020) — presenta una serie di fotografie scattate con i più diversi dispositivi di ripresa, percorrendo le strade di Milano in bicicletta. Le vedute selezionate mostrano alcuni spazi pubblicitari che si presentano vuoti, bianchi e muti: nessuna immagine, nessuno slogan, nessuna presenza. La riflessione dell’autore intende riportare l’attenzione sull’osservazione attiva e non su quella passiva per lo più generata dalla moltiplicazione di immagini che caratterizza il presente. La loro assenza riporta pertanto l’attenzione su ciò che ci circonda: “Il lockdown ci ha naturalmente portato a ripensare il nostro vedere, invitandoci a guardare e osservare di più”.

27 – CLAUDIA ORSETTI (CHIARAVALLE – AN, 1983) – Vanished (Svanita) — è un percorso di indagine intimo e personale che l’autrice sviluppa in seguito alla scomparsa della nonna a causa del Covid-19. La distanza fisica imposta dalla malattia e dalle misure di contenimento ha reso la perdita quasi non reale, per la rapidità con cui tutto è avvenuto ma soprattutto per l’impossibilità di vivere l’esperienza di distacco, quasi che la donna fosse semplicemente svanita. Uno scavo tra gli oggetti personali e le vecchie fotografie ritrovati nei luoghi familiari e d’infanzia, così come la testimonianza del dolore della madre, permettono a Orsetti di ricomporre i pezzi e di riappropriarsi, attraverso la memoria, della figura della nonna e del rapporto con lei.

28 – MATTIA PALADINI (IVREA, 1988) – Lockdown in Valle d’Aosta — documenta i confini visibili e invisibili, territoriali e mentali, che si generano nel momento in cui la libertà di spostamento è impedita dall’epidemia di Covid-19. Le fotografie sono realizzate lungo le frontiere della Valle d’Aosta, regione che per secoli ha visto transitare persone e popolazioni attraverso le sue montagne, mettendo i suoi abitanti in contatto con culture differenti. Per l’autore “le frontiere tra Italia, Francia e Svizzera assomigliano a monumenti abbandonati, sospesi nel tempo e nello spazio. Il Monte Bianco, con i suoi ghiacciai malati, è lo specchio dell’epoca climatica contemporanea. Il silenzio invita alla riflessione e all’osservazione di quello che ci circonda”.

29 – NUNZIA PALLANTE (POLLA – SA, 1991) – Heracleum — indaga il ruolo giocato dall’immaginazione nei giorni del lockdown, passati a osservare e ascoltare il paesaggio oltre la finestra, e gli stati d’animo di quando si è tornati a poter girare per le strade. L’autrice ha liberato la tensione creativa accumulatasi durante il confinamento in assemblaggi di elementi fotografici e naturali, trasformandoli poi in immagini che le hanno permesso di creare mondi paralleli in bilico tra reale e immaginifico: “Spinta dal senso ludico della pratica, ho raccolto fiori, piante e semi da posare poi sulle fotografie, per allestire un’immagine multistrato da ri-fotografare, per rimodellare, scombinare, ricreare la realtà”.

30 – NICOLÒ PANZERI (MILANO, 1991) – Anatomy of a Virus — si presenta come un tentativo di analizzare le conseguenze individuali e sociali che il lockdown ha provocato sull’autore e sulla collettività. “Giorno sette. Quanto riesci a stare solo? Dove finisce la solitudine? Da quanti giorni non metti il piede oltre la soglia di casa? Apro gli occhi e vedo viola”. Le immagini costituiscono assemblaggi dei materiali domestici più disparati per rielaborare l’ossessione di grafici e flussi legati all’andamento della prima ondata della pandemia, creando un mondo parallelo abitato da mementi in cui gli oggetti della quotidianità sono rivestiti di nuovi significati e di inaspettata importanza.

31 – CLAUDIA PETRAROLI (TERAMO, 1987) – L’Arte, il geroglifico della potenza — rappresenta una testimonianza di come, con l’avvento del cosiddetto smart working, il lavoro abbia invaso l’ambiente e il tempo della casa. L’autrice ha condensato in immagini astratte il risultato dell’attività di post-produzione per alcuni brand di lusso, prelevandone porzioni di materia digitale per trasformarla in arte, come a riscattare il tempo svenduto al lavoro per realizzarle. Le campionature di superfici, pixel e pennellate, parti e livelli delle immagini necessari alla costruzione di oggetti dalla fattura perfetta, diventano misura del tempo occupato dal lavoro subordinato alla produttività capitalistica.

32 – CAMILLA PIANA (PIACENZA, 1988) – Via Rubens n°9 — traccia un diario visivo dei giorni del lockdown, caratterizzato dalla scoperta del mondo nascosto nel palazzo di ringhiera della vecchia Milano nel quale l’autrice abita dal 2017. “Tra i lunghi corridoi di corte ora non ci sono solo i panni stesi al sole con impettito ingombro, gli sbuffi profumati di sugo e fritto tra le rampe delle scale, la bottega del falegname e il laboratorio del panettiere, ma c’è anche chi legge alla stessa ora, chi coltiva tintarelle, il guardone ficcanaso, e chi cerca, come me, una ventata di ossigeno tra la luce dei ballatoi. Apprendo solo ora la gestualità di ciascuno, i timbri delle loro voci e senza poco imbarazzo scopro solo dopo anni i loro nomi.”

33 – BENEDETTA RISTORI – (FIESOLE – FI, 1988) – Il progetto è una riflessione sul tema della finestra come apertura sul mondo, come punto di contatto con l’esterno e con gli altri durante i giorni del lockdown. Il confinamento ha portato tutti a scoprire le storie che si percepivano nelle case altrui, a intercettare gli sguardi di solidarietà dei vicini. Dalla sua abitazione l’autrice ha fotografato finestre, balconi e terrazze molto vissuti in quei giorni. “Osservando gli estranei a noi vicini, si può immaginare la loro vita, creando storie. Spesso le stesse persone possono essere notate ogni giorno alla stessa ora, e possiamo iniziare a immaginare il trascorrere dei loro giorni, il loro carattere, il loro stato d’animo”.

34 – GIORGIO SALIMENI (CATANIA, 1990) – Redeo — si concentra sul rapporto maturato dall’autore con alcuni ospiti di una comunità terapeutica sperimentale per soggetti con disturbi psichiatrici di bassa e media intensità, all’interno di una casa di riposo sull’appennino toscano, dove egli ha deciso di tornare a lavorare immediatamente dopo l’allentamento delle misure di confinamento. Redeo – il nome di questa comunità – è un verbo latino intransitivo anomalo che indica il ‘fare ritorno’, concetto che nel post-lockdown può aprirsi a una moltitudine di significati. Gli ospiti del centro, protagonisti del reportage di Salimeni, sono tra le persone che hanno subito i contraccolpi più duri della pandemia, anche a causa delle limitazioni delle visite esterne.

35 – CLAUDIA SINIGAGLIA (PADOVA, 1985) – 21 Days Monochrome Series — riflette sui processi di adattamento alle situazioni, ritraendo elementi che nella quotidianità del post-lockdown hanno acquisito un ruolo centrale. Alcune teorie in ambito psicologico sostengono che 21 giorni sia la quantità minima di tempo necessario per adattarsi a un cambiamento e iniziare a creare un’abitudine. Le fotografie mostrano dettagli di mascherine, guanti, alcol e gel disinfettanti ravvicinati e ingranditi a tal punto da “scomparire” in campiture monocrome. La ripetizione dei colori nella sequenza di immagini dialoga con le sfumature dei processi psicologici di creazione delle abitudini attivati per il contenimento della pandemia.

36 – ANDREA STORNI (FIRENZE, 1999) – Un affare di famiglia — è un omaggio dell’autore al padre, un ritratto intimo dal quale affiora la presa di coscienza, emersa durante la pandemia, di avere dedicato la vita al lavoro a discapito delle passioni e degli affetti, ormai difficili da recuperare, compreso il rapporto con i suoi figli. “Io, che con mio padre non ho mai condiviso un vero legame, mi ritrovo a doverlo assistere insieme a mio fratello nella sua routine, alla ricerca ossessiva di un problema fisico che non esiste e che non è altro se non la maschera che lui stesso si è creato per preservare la sua fragilità. La verità è che è troppo tardi e io ne sto seguendo il conflitto interiore”.

37 – JACOPO VALENTINI (MODENA, 1990) – Superlunare — si presenta come una riflessione sul valore del tempo e della sua percezione nei giorni dell’isolamento e di come questo abbia inevitabilmente influenzato anche la pratica degli artisti. Le oscillazioni tra forma e contenuto che nutrono la ricerca artistica, ulteriormente messe in discussione dall’eccezionalità degli eventi, sono poste in relazione con il fenomeno della Superluna – la coincidenza di una luna piena con la sua minor distanza dalla Terra – che si è verificato nella notte del 7 aprile 2020 e nei giorni antecedenti e successivi a questa data, nel pieno del periodo di lockdown.

“Non pensare «oggi cosa metto», pensa «oggi cosa tolgo»”

(Guerre Fredde, Coma_Cose feat. Stabber)

38 – COSIMO VENEZIANO (MONCALIER I – TO, 1983) – HAL 9000 — riflette sul concetto di paesaggio e sulle conseguenze causate dall’essere costretti in spazi limitati con la quasi impossibilità di interagire con l’esterno, durante i giorni del lockdown. L’autore ha scelto di guardare il paesaggio italiano tramite le webcam poste nei luoghi turistici, montani e marini. L’elemento comune ai paesaggi selezionati è la totale assenza di persone in località normalmente affollate. Le immagini prelevate sono state sovraimpresse con fotografie di galassie, ricorrenti in alcuni desktop di PC e laptop, a sottolineare il legame con gli unici dispositivi di interfaccia con il mondo esterno durante quei giorni.

39 – HUGO WEBER  (PARIGI – FRANCIA, 1993) – … — è un diario visivo delle inquietudini e dei pensieri dell’autore durante i giorni del lockdown e di come questa condizione lo abbia portato a fare i conti con il senso di responsabilità nei confronti della sua famiglia, oltre che con se stesso. “Vedendomi obbligato a trovare un posto in cui confinarmi, ho deciso di andare dalle mie zie per occuparmi di loro e, per la prima volta nella vita ho sentito un vero senso di responsabilità. Quando ho sviluppato i rullini mi sono reso conto che attraverso metafore involontarie ho parlato esplicitamente di come mi sia sentito durante il lockdown: tre mesi di noia, ansia, responsabilità, instabilità e paura della morte.”

40 – ALBA ZARI  (BANGKOK – THAILANDIA, 1987) – I am Vertical – prende il titolo dall’omonima poesia di Sylvia Plath e nasce quando, durante il il lockdown, l’autrice si ritrovava in continuazione a guardare sul suo PC le fotografie dei paesaggi a lei più cari. “Provavo una forte nostalgia verso quei luoghi – Trieste dove abita mia madre e Positano dove vive mia nonna – e mi domandavo se fossero ancora lì, così come li avevo lasciati”. Seguendo questi pensieri, ha ri-fotografato quelle immagini con il suo smartphone evidenziando visivamente come l’immagine cambi attraverso i pixel dello schermo. “I ricordi dei luoghi in cui sono cresciuta saranno cambiati quando questo periodo sarà finito e forse non potrò più ripercorrerli con leggerezza”.

REFOCUS è un percorso di indagine e documentazione visiva della pandemia Covid-19 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea (DGCC) del Ministero della Cultura, in collaborazione con Triennale Milano e Museo di Fotografia Contemporanea.

Crediti immagine copertina: Benedetta Ristori, senza titolo, © MIC | DGCC