
Concedere la «morte dignitosa» e la scarcerazione a Totò Riina, significa non fare giustizia a tutti coloro che sono stati uccisi per sua mano. Totò ‘u curtu, come viene soprannominato per via del suo 1,58 di statura, è a oggi il capo più feroce e più potente ad essere finito nelle mani della giustizia italiana. Arrestato nel 1993 è ritenuto il responsabile dei più gravi delitti di mafia degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Riina nasce il 16 novembre del 1930. Tra i suoi amici di gioventù c’è Luciano Liggio, con il quale commette i primi furti di bestiame e covoni di grano. Il primo crimine “pesante” che funge da battesimo per la “carriera” di Riina è l’uccisione di un suo coetaneo, Domenico Di Matteo che lo porta ad una condanna di 12 anni.
In unione con Liggio, Riina comincia a studiare il potere criminale di Navarra il quale viene assassinato nel 1958 . Nel 1963 Totò viene nuovamente arrestato per il possesso di una pistola e di una carta d’identità falsa e applicata la misura del soggiorno, sparirà dalla circolazione cominciando la sua lunga latitanza.
All’inizio degli anni ‘70 Salvatore Riina diviene il capo con Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti. E’ l’esecutore materiale della strage di viale Lazio a Palermo e del procuratore di Palermo Pietro Scaglione. In quegli stessi anni opera al sequestro del figlio del conte Arturo Cassina, potente industriale legato alla politica siciliana e di Pino Vassallo, altro «rampollo» di una dinastia industriale.
Finito in carcere Luciano Liggio, il potere di Totò ‘u curtu cresce diventando il capo incontrastato dei corleonesi. In clandestinità il boss sposa Ninetta Bagarella e diventa padre di quattro figli, regolarmente registrati e battezzati. Successivamente a questo Riina si introduce nel traffico degli stupefacenti con gli USA.
Negli anni ‘80 si scatena la «seconda guerra di mafia»dove a Palermo vengono uccisi più di 200 mafiosi. Da questa disputa gli uomini di Riina ne escono vincitori grazie al consenso dell’allora capo della «commissione» Michele Greco. Di seguito vengono attribuiti a Riina gli omicidi del segretario provinciale della dc Michele Reina, del presidente della regione Piersanti Mattarella, del deputato del Pci Pio la Torre.
Negli anni ‘80 si assiste all’ascesa in campo della magistratura la quale riesce a muovere guerra alla mafia. Le confessioni del pentito Tommaso Buscetta rompono il muro dell’omertà e portano il giudice Giovanni Falcone ad istituire il primo maxiprocesso contro Cosa Nostra a Palermo, nel quale verrà assegnata a Riina la condanna all’ergastolo.
Durante la latitanza, Riina riesce ad organizzare le stragi nelle quali sono state vittime Falcone e Borsellino e presunte trattative Stato – mafia, di cui diversi pentiti hanno riferito. Il processo per la trattativa è ancora in corso ed è il principale tra quelli che vedono ancora imputato Totò Riina.
La latitanza di Riina, durata 23 anni, si interrompe il 15 gennaio 1993 a Palermo in via Bernini, a pochi metri dalla villetta che è stata il suo covo. Dopo l’arresto, sono stati inflitti a Riina gli ergastoli per l’uccisione del generale Dalla Chiesa e le stragi di Capaci e via D’Amelio. Da allora si trova in regime di carcere duro – il cosiddetto 41 bis – prima all’Asinara, poi a Parma dove le sue condizioni di salute peggiorano.
Ma le domande che gli italiani in questi mesi si pongono sono: Queste persone hanno avuto una morte dignitosa? Per quali ragioni questo uomo ha il diritto di averne una? Quanto può essere sgradevole la mente umana,se solo si permette di formulare questi pensieri? E a tutte quelle persone innocenti non si pensa? Cosa dovrebbero pensare le loro famiglie? Possono e possiamo ancora avere fiducia nella giustizia?
Articolo di Alessandra Caruso