
L’Agenzia delle Entrate deve motivare l’accertamento basato sugli studi di settore. Lo ha ribadito a chiare lettere la Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza del 14 novembre scorso.
La pronuncia trae origine da un avviso di accertamento, basato su uno studio di settore relativo all’anno 2004, ricevuto da una una società operante nel campo delle ristrutturazioni immobiliari. Nella fattispecie, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato maggiori ricavi per Euro 223.060 e determinato le maggiori imposte dovute Ires, Irap ed Iva, non ritenendo adeguatamente giustificato da parte del contribuente lo scostamento dei ricavi della società rispetto allo standard predefinito, senza però fornire ulteriori chiarimenti in merito.
La Corte nel richiamare un granitico orientamento (Sez. U. n. 26635 del 2009), ha però ribadito l’obbligo di motivazione dell’atto di accertamento precisando che, ogniqualvolta vi sia stato il contraddittorio preventivo con il contribuente e questi abbia fornito delle giustificazioni, l’Ufficio ha comunque l’obbligo di esporre “le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”.
Trattasi di un obbligo motivazionale di carattere generale e formale, che non può subire restrizioni, in quanto, precisa ancora la Corte, limitare l’obbligo di motivazione dell’Ufficio alle sole ipotesi in cui le giustificazioni addotte dal contribuente siano ritenute “serie”, secondo un parametro di valutazione personale adottato dall’Agenzia, introdurrebbe un tasso di arbitrarietà incompatibile con la natura cogente del predetto obbligo.
Quindi, se per un verso il contribuente ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’inapplicabilità degli standards derivanti dagli studi di settore, per altro verso l’Ufficio deve indicare, in maniera specifica, le ragioni poste a fondamento dell’avviso di accertamento a pena di nullità dell’avviso medesimo.