
di Alessandra Caruso
La felicità non ha prezzo e non si commercia, non è un’applicazione che si scarica sul telefonino. Tutto si compra, si commercia e diventa obsoleto con un ritmo vorticoso. In un tempo di “usa e getta”, ” take away” e “fast food” ci si domanda se anche i sentimenti sono labili e liquidi come fossero cibi asportabili e consumabili in un giro di boa. Così non c’è futuro. Così non si disegna l’esistenza dell’uomo. Lo ha ricordato Papa Francesco ai giovani che, nelle giornate del Giubileo dei ragazzi (23/24/25 aprile 2016), si sono presentati in oltre 70 mila in Piazza San Pietro, ad ascoltare le sue parole. Sì, 70 mila.
A testimoniare che i giovani sono evidentemente affamati di “cibi” che sappiano nutrire l’anima più che il corpo a dispetto di una società che li vorrebbe, invece, passivi consumatori di precotti o mordi e fuggi. E Papa Francesco sa usare le giuste parole, quelle che scavano l’anima e la perforano. Più volte sottolinea che bisogna ricercare la felicità, quella che “non ha prezzo e non si commercia”, quella che non si scarica sul telefonino come fosse un’app a portata di mano e di click. La felicità è quella che si costruisce, giorno dopo giorno, a costo anche di enormi sforzi come un infinitesimale ponte di piccoli granelli di pietre tenute insieme dalla colla dell’amore che è forte e potente ed è l’unica che può reggere alle tempeste della vita.
Una rivoluzione quella di Papa Francesco che, non a caso, si rivolge ai giovani perché siano loro i costruttori di una felicità che “profumi di umano”. I giovani sì, quelli più esposti ai venti dell’effimero e del vuoto, quelli che spesso, troppo spesso, cercano la felicità nelle cose che si toccano, ma poi scadono e non creano sigilli nell’anima. Abbiamo provato a chiedere ad alcuni adolescenti di dirci che cosa rappresenta per loro la felicità. E le risposte ci danno una fotografia della società che sembra premiare gli sforzi del Pontefice. Da una definizione di “felicità – esordisce Michela – come momento di passaggio tra un dispiacere e un altro”, ad una da associare, secondo Federica “ad una persona da avere sempre accanto, un’ombra, un’anima gemella”.
Dalla felicità come sinonimo di famiglia che, sottolinea Silvia -” diventa una vera fonte di luce, io sono felice quando passo dei momenti con la mia famiglia”, alla felicità come risultato del non arrendersi mai di fronte agli ostacoli perché -come dice Luigi- “quando risolvo un problema, quando faccio qualcosa che mi dà soddisfazione, io sono felice”. Dalla felicità procurata dalla danza o ad altri sport alla felicità come accettazione di se stessi, condizione non certo facile nell’adolescenza. Chiara -conclude dicendo- “io sono felice quando mi guardo allo specchio e vedo me stessa.”Gli adolescenti, quindi, sembrano credere ancora nella felicità. La vivono senza paure, con semplicità. Non tutto si compra dunque. E in questo afflato, forse, risiede il sogno di un futuro possibile. Benigni ci ricorda che: “la felicità va cercata continuamente; è nascosta dentro i cassetti e gli scaffali dell’anima e dobbiamo essere in grado di non dimenticarla mai anche se questa alcune volte si dimentica di noi”.