
Si configura il reato di stalking anche con una telefonata dai toni minacciosi e pochi messaggi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 61 del 2 gennaio 2019.
La vicenda riguarda una professionista che era sta incaricata dal Pubblico Ministero, in altro procedimento, di effettuare una consulenza psicologica sulla figlia dell’imputato.
Evidentemente i risultati della perizia non erano stati apprezzati dal padre della ragazza il quale ha assunto una condotta molesta e minacciosa nei confronti della dottoressa.
L’autore degli atti persecutori si è difeso precisando che la condotta descritta si era limitata all’invio di dodici messaggi attraverso whatsapp e a due telefonate e che tali comportamenti erano comunque privi di idoneità lesiva. Nel corso del processo è stata inoltre ribadita, dalla difesa dell’imputato, l’insussistenza dell’elemento psicologico e dell’evento di danno normativamente previsti.
Gli “ermellini”, hanno però ritenuto di non accogliere le ragioni della difesa avendo ravvisato nei comportamenti descritti una grave intrusione nella sfera intima della vittima la quale, avendo timore per la propria incolumità, aveva addirittura deciso di pernottare provvisoriamente presso altra abitazione sospendendo la propria attività lavorativa.
Tale circostanza, ha ribadito la Corte, integra con sicurezza l’evento di danno previsto dalla norma a prescindere dalla mancanza di condotte di carattere fisico.
La condotta assunta dal padre della ragazza, anche se limitata nel tempo e in mancanza di un avvicinamento fisico, aveva infatti ingenerato nella vittima uno stato di alterazione psicofisica tale da indurla a modificare, seppur temporaneamente, le proprie abitudini di vita.
Inoltre, anche dal tenore di una conversazione telefonica in particolare, intercorsa tra le parti, è emersa la chiara consapevolezza degli effetti che le espressioni utilizzate erano idonee a provocare nella vittima andando ulteriormente ad integrare gli elementi caratterizzanti del reato di stalking.